AZZEDINE ALAIA, PICCOLO GENIO E GRANDE MAESTRO

Posted on Giugno 9, 2022

Partito da Tunisi con pochi soldi e tanti sogni, il couturier Azzedine Alaïa, orgogliosamente fuori dal sistema, ha imposto la sua idea di femminilità scultorea raggiungendo un successo planetario, cucendo gli abiti direttamente addosso alle clienti.

Azzedine Alaïa nasce nel 1940 a Tunisi, da due fattori, con lui nasce anche una sorella gemella Hafida, che sarà per tutta la vita il suo punto di riferimento e la prima sua ispiratrice nel tentare la strada della moda. L’assidua lettura di Vogue contribuisce a completarne la totale fascinazione per questo mondo.

Per poter essere ammesso all’Accademia di Belle Arti di Tunisi, il giovanissimo Azzedine mente sulla propria età. Qui studia scultura, iniziandosi a interessarsi profondamente all’anatomia e alla struttura del corpo, alle sue forme. Accumula nozioni che si riveleranno preziose e che daranno una direzione precisa al suo futuro stile di moda. Per potersi pagare gli studi inizia a lavorare accanto alla sorella, sarta, apprendendo i primi rudimenti della sartoria e iniziando un apprendistato lunghissimo, ma che lo porterà a diventare uno dei grandi maestri di tutti i tempi.

Dopo la laurea, Alaïa inizia a lavorare come assistente di sartoria a tempo pieno. Comincia ad acquisire la sua clientela privata e a farsi apprezzare; conosce così Leila Menchari, colei che per trent’anni disegnerà le vetrine di Hermès. Entrambi sognano Parigi e assieme partono nel 1957.

Appena giunto a Parigi Azzedine è assunto chez Dior, ma vi resta solo cinque giorni: la Francia è in guerra contro gli indipendentisti algerini, chi viene dal Maghreb non è affatto ben visto. Però fa in tempo a incrociare Marlene Dietrich: la vede scendere dall’auto, le gambe perfette; capisce che l’unica cosa che desidera è vestire le donne.

Passa a lavorare con Guy Laroche per due stagioni, per passare  poi da Thierry Mugler prima di decidere di aprire il proprio atelier, in un appartamento in Rue de Bellechasse, sulla Rive Gauche della Senna nei tardi anni Settanta. In suo aiuto arrivano la marchesa di Mazan e la contessa di Blégiers, sue clienti, per le quali Azzedine lavora anche come baby-sitter. Quando i bambini dormono, lui cuce abiti che le nobildonne indossano a cene e teatri. Inizia la sua fama, così comein quegli anni comincia la storia d’amore con il pittore tedesco Christoph von Weyhe, che gli resterà accanto fino all’ultimo giorno.

Nei 140 metri quadrati di Rue de Bellechasse ci sono macchine per cucire ovunque, persino in cucina e in bagno. L’atelier è così piccolo che Azzedine deve far sfilare le modelle per le sue presentazioni in strada. Riceve le sue clienti su appuntamento, e il lavoro è sempre tantissimo. Le signore del tout-Paris si mettono in coda, come pure la Dietrich, la Garbo e la Arletty, che sarà una delle sue amiche più fedeli, per avere un suo capo. Ogni abito è unico e originale, è nato osservando il corpo della donna che lo indosserà. «Per conoscerlo bisogna amarle, le donne, e interessarsi a loro fino a dimenticarsi di sé stessi, per questo io mi vesto sempre allo stesso modo», dice lo stesso Alaia, che si definiva un sarto e che non tollerava di essere chiamato stilista.

In quegli anni di lavoro, mentre Saint Laurent, Pierre Cardin e Guy Laroche creano i propri marchi, Alaïa va avanti per la sua strada fatta di appuntamenti e capi fatti a mano su ordinazione. Nella sua spasmodica ricerca e approfondimento delle tecniche sartoriali smonta gli abiti originali di Madeleine Vionnet e Cristóbal Balenciaga per studiarne la composizione, per poi ricucirli alla perfezione. Resta epica la sua scoperta di come andasse indossato un abito della Vionnet, conservato nel museo e sino ad allora ritenuto erroneamente un capo non finito. Alaïa è capace di passare notti insonni nel suo studio per rifinire un orlo, i documentari di animali in Tv in sottofondo come unica compagnia.

 

Intanto nella sua vita, tra le tante preziose amicizie, entra Carla Sozzani, la “soeur italienne“che molto influenzerà il percorso umano e professionale di Alaïa.

«Era il 1979, lavoravo per Vogue. Mi parlarono di questo sarto straordinario che trattava la pelle in maniera unica, realizzai uno speciale su di lui e volai a Parigi.  Si stabilì una prossimità di quelle che capitano poche volte nella vita. Il nostro era un rapporto d’amore, ammirazione e grandi divertimenti.

Racconta la stessa Carla.

Alaia è nel numero dei giovani creativi che faranno della Parigi degli anni Ottanta di nuovo il punto di riferimento della Moda Internazionale. Sin dai tempi in cui vi aveva collaborato resta amico di Thierry Mugler e stinge amicizia con Claude Montana. Si influenzano e stimolano a vicenda e sono spesso menzionati insieme come i massimi esponenti della nouvelle vague della Moda parigina di quegli anni.

Solo nel 1981 Thierry Mugler riesce però a convincerlo a fare il salto, a produrre una sua linea di prêt-à-porter e lanciare il suo marchio. Si trasferisce così in uno spazio più grande, a Rue du Parc-Royal nel quartiere Marais.

La sua carriera decolla quando due dei più potenti editori di moda del tempo, Melka Tréanton di Dépèche Mode e Nicole Crassat di French Elle, entusiasti delle collezioni scelgono i suoi capi per i loro redazionali. I suoi abiti fasciati di pelle nera diventano il nuovo feticcio di moda e un must to have. Un giorno l’interior designer Andrée Putman mentre sta camminando lungo Madison Avenue con uno dei primi cappotti di pelle Alaïa, viene fermata da un compratore di Bergdorf Goodman che le chiede di chi fosse ciò che indossava, da qui partono tutta una serie di contatti ed eventi che aprono ad Alaïa il mercato americano. L’arrivo dei suoi capi da Bergdorf è ritenuto così importante che è viene inserito dal New York Times tra gli eventi simbolo quelli che hanno maggiormente influenzato il panorama culturale della città.

Nel 1984 fu nominato “Miglior stilista dell’anno” e “Miglior collezione dell’anno”, durante la cerimonia di premiazione degli Oscar della Moda, indetta dal Ministero Francese della Cultura.

A partire dal 1988, furono aperte le boutique di Beverly Hills, New York e Parigi, e le creazioni dello stilista iniziarono ad essere sempre più richieste da celebrità come Grace Jones che appare in total look Alaïa nel film 007 – Bersaglio mobile, Tina TurnerRaquel WelchMadonna, Brigitte Nielsen, Naomi CampbellStephanie Seymour, Carine RoitfeldFranca Sozzani e Carla Sozzani.

Agli inizi degli anni ’90, ispirato dall’emergente musica hip hop e dallo street style, propone il Total Look Maculato ottenendo un grande successo.

Azzedine Alaïa non perde però mai il rapporto diretto con la sua clientela né il contatto umano con la sua cerchia di amici e collaboratori storici. Il cuore di tutta questa organizzazione, più simile ad una famiglia allargata che ad un’impresa multinazionale era la cucina. La grande cucina dello spazio in Rue Royal, un piano d’acciaio, due grandi tavoli e tanta luce, è per anni un crocevia dove cibarsi di buona cultura, straordinarie idee in continuazione e, ovviamente, cibo, Il segreto di questa alchimia era mischiare, a dozzine, la sarta e il giornalista, la nobildonna e l’artista, in una sorta di rito che si ripeteva ogni giorno e che teneva insieme gli affetti. Un luogo aperto, dove chi passava aveva la certezza di trovare sempre un piatto, perché

Azzedine metteva sempre dei coperti in più, serviva tutti ed era sempre l’ultimo ad accomodarsi.”

Come racconta chi ha avuto la fortuna di accomodarsi a quel tavolo.

Qui si stringeranno le collaborazioni e gli affetti che continueranno per una vita in un rapporto di reciproca ispirazione estraordinario successo. Tra i più importanti: Farida Khelfa, sua prima modella, per poi divenirne collaboratrice e musa. Jean-Paul Goude, estroso e geniale fotografo e regista, che con Alaïa mette in scena gli eventi più memorabili della storia della Moda e del Costume contemporaneo. Gli presenta la sua ex fidanzata Grace Jones, iconica modella e cantante giamaicana che presto diviene l’icona per eccellenza dello stile Azzedine Alaia. È lei, ad accompagnare Alaïa all’Opéra Garnier a ritirare i due Oscar della moda che gli erano stati assegnati, è il momento della sua massima consacrazione ma diviene uno dei momenti più iconici della Storia della Moda. La stessa Grace ne parla in numerose interviste:

Avevo trascorso tutto il pomeriggio in piedi nel suo atelier perché, come spesso accadeva,Azzedine voleva cucirmi l’abito addosso. Io avevo tenuto tutto il tempo le gambe incrociate. Quando finì era così stretto da non riuscire quasi a muovermi. Partimmo da Rue du Parc-Royal dentro una limousine dorata, un elicottero dall’alto ci riprendeva. Quando arrivammo ai piedi della scalinata dell’Opéra ci rendemmo conto che non sarei riuscita a salire neppure un gradino. Scoppiammo entrambi a ridere, finché il mio fidanzato dell’epoca, Dolph Lundgren (l’Ivan Drago di Rocky 4) non mi prese in braccio portandomi sulla cima della scalinata.

Nel corso della sua carriera Alaïa collabora con i più grandi artisti e creatori, ma tra tutti spicca il fotografo tedesco Peter Lindbergh. Si conoscono attraverso la Direttrice di Vogue Italia, Franca Sozzani, sorella di Carla. Insieme sono una coppia sorprendente: Alaïa è piccolo e Lindbergh è enorme.  Ma hanno un modo di concepire la bellezza e l’estetica complementare: il loro colore preferito è il nero, e vedono entrambi in Naomi Campbell e Tatjana Patitz i loro modelli di bellezza ideale preferiti. Entrambi immaginano una donna libera e forte da raccontare attraverso il loro lavoro.

Sull’onda dell’incalzante successo è tra i primi grandi nomi a firmare collezioni per marchi low cost. Le sue collaborazioni spaziano dal catalogo per corrispondenza Les 3 Suisses a La Redoute, sino all’iconica collezione a macro a pied-de-poule realizzata per Tati. Questa collezione, pensata per costare pochi franchi, oggi in è vendita per migliaia di euro nei negozi vintage. Eppure Alaïa rimane fedele per tutta la vita alla sua idea di moda fatta di taglio, materia, fluidità.

I suoi modelli si contraddistinguono per la loro vestibilità attillata, il taglio magistrale e le cuciture curve che assecondano le linee del corpo. I colori che predilige nelle sue collezioni sono quelli quelli cupi, per lo più neutri e nei toni naturali, ma non mancano accenni di colori forti, pieni e decisi.

Assolutamente unico e originale è il suo modo di trattare la pelle, così come l’utilizzo inventivo della maglia.

I primi anni della sua moda vedono un deciso affermarsi di una silhouette dalle spalle larghe, un revival degli stili degli anni ’40 che lancia insieme ai suoi amici Thierry Mugler e Claude Montana. L’enfasi sul corpo che però vi mette Alaïa è ancora maggiore di quella dei suoi colleghi, ne diventa la sua firma. Sebbene all’inizio la sua moda si basi principalmente sulla vestibilità, sul taglio e sulle cuciture per rivelare il corpo con morbidezza, nei primi anni Novanta comincia a incorporavi corsetti e stecche per esaltare il busto.  Contribuisce così al ritorno di uno stile più costrittivo, civettuolo e ammiccante, dopo che dalla fine degli anni Sessanta e Settanta gli abiti erano stati più confortevoli e pratici.

Alcuni vedono le gonne strette, i busti modellati, i fianchi allacciati, e i tacchi ultralti di Mugler, Montana e Alaïa, come un ritornare indietro, quasi una beffa alle donne che solo recentemente avevano conquistato la liberazione da certi dettami accondiscendenti a certi gusti maschili. C’è anche chi vede i vestiti di Alaïa, in particolare, come adatti a corpi perfetti, e dunque tra i meno lusinghieri per le donne, oggi si direbbe i meno inclusivi. Alaïa non concorda però con un’analisi così impietosa dei suoi abiti; egli stesso affermava che anche le donne con fisici non statuari stavano bene coi suoi capi, e che anzi il suo aver riproposto vestiti aderenti era volto a rinnovare ed esaltare il fascino femminile dopo un decennio di vestiti sciolti e fluenti.

A metà anni Novanta la morte della sorella è per Azzedine un colpo tremendo. Scompare dalle scene, pur continuando a lavorare per una clientela ristretta, e a produrre le linee di Prêt-à-porter. Ma il mondo della moda è un ambiente strano e a volte poco riconoscente, e in quegli anni comincia ad affermarsi un certo presenzialismo autoreferente. Il suo rifiuto di un certo mondo, il suo volontario esilio, piano piano lo fanno sparire dai giornali. Alaïa resta con fierezza fuori dal sistema. Anima generosa quanto libera rifiuta di seguire i tempi altrui: «Sfilo quando sono pronto», ama ripete, alle affollate passerelle della settimana della moda parigina preferisce le tradizionali, tranquille presentazioni nel suo salone. Le fortunate presenti, rigorosamente limitate, assistono alla presentazione di pochi ma straordinari capi, e le date non sono fisse ne cadenzate. Se dopo una stagione particolarmente fruttuosa di vendite e il conseguente carico di lavoro pesante, l’intera Maison e in primis Alaia stesso si sentono particolarmente stanchi o senza novità valide da presentare si salta la stagione successiva. Nemmeno le date sono concordate dal calendario ufficiale, magari possono cadere anche due mesi dopo gli altri, senza che mai ci sia un ammiccare alle tendenze, senza mai stare a guardare cosa va di moda e cosa no, a cosa fanno i suoi colleghi.

All’uscita di Gianfranco Ferré da Dior, gli viene proposto il ruolo di direttore creativo. Alaïa rifiuta, perché significherebbe chiudere la sua Maison, che intanto si è spostata nel Marais tra Rue de la Verrerie e Rue de Moussy, e abbandonare i suoi collaboratori e la sua libertà. Di nuovo rifiuterà quando gli viene riproposto tale ruolo a seguito della defenestrazione di John Galliano nel 2011.

La lenta elaborazione del lutto dura quasi quindici anni, in cui la stella di Alaia pare appannarsi eppure resta viva nel cuore dei suoi estimatori.

Nel 1996 partecipa alla Biennale della ModaFirenze, ed è l’occasione per i più di riscoprire la sua moda, che intanto aveva influenzato più di uno stilista emergente di quegli anni. La sua moda è altresì celebrata con una mostra personale al Groninger Museum nei Paesi Bassi nel 1998, per poi essere portata al Guggenheim Museum di New York nel 2000, curata da Mark Wilson e Jim Cook

Ma è grazie alla sua sorella di elezione, Carla Sozzani, che Alaïa ritorna in auge. Grazie a lei nel 2000 firma un accordo con il gruppo Prada, prima, e con Richemont dopo. Grazie al successo di vendita, anche dei suoi accessori, riesce a ricomprare la totalità del marchio e a poter ritornare ai tempi e ai modi sempre, caratterizzati da una sincerità senza calcolo e da un continuo slancio umano. Alaïa rifiuta la logica di marketing-driven dei conglomerati di lusso, preferendo concentrarsi sui vestiti piuttosto che su “it-bags“. Questa sua filosofia di vita e di lavoro è ciò che maggiormente lo fanno apprezzare e lo rendono un designer ricercatissimo, letteralmente venerato per la sua indipendenza e la sua passione per un lusso discreto.

Non esita a esprimersi sinceramente e con toni decisi quando deve manifestare la sua idea rispetto quello che è diventato il sistema moda, anche se questo comporta andare contro chi, quel sistema lo ha creato e lo governa. Durante un’intervista con The Ground Social & Magazine Alaïa non risparmia le sue critiche ad Anna Wintour quanto a Karl Lagerfeld.

“Non mi piace la sua moda, il suo spirito, il suo atteggiamento. È troppo caricaturale. Karl Lagerfeld non ha mai toccato un paio di forbici in vita sua.

Non è più dolce nemmeno con il caporedattore di Vogue America:

Gestisce l’azienda molto bene, ma non la parte della moda. Quando vedo come è vestita, non credo abbia gusto nemmeno per un secondo… Comunque, chi ricorderà Anna Wintour nella storia della moda? Nessuno.

Continua a presentare la sola Alta Moda a scadenze irregolari, ogni volta salutata come un evento epico. Ogni sfilata è aperta da Naomi Campbell, la “figlia” che aveva scoperto e lanciato quando aveva 15 anni e che a Parigi dormiva chez papa, ed è chiusa, come sempre, senza uscita, perché il merito è del gruppo, non del singolo.

Nel 2015 espone i suoi abiti scultura a Villa Borghese a Roma, oramai riconosciuti quali capolavori indiscussi.

A completamento della sua estetica nello stesso anno lancia il profumo Alaïa, creato in collaborazione dal naso di Marie Salamagne, mischiando note di pepe rosa, fresia, peonia a note animali e a quella del muschio.

Il 18 novembre del 2017 Azzedine Alaia, all’età di 82 anni, muore a Parigi. Maestro indiscusso, genio della costruzione del capo, vera e propria Icona lascia un’eredità straordinaria di creatività alle generazioni future di designer, che continuano a ispirarsi alle sue brillanti intuizioni così come avevano già fatto tanti suoi contemporanei.

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