LA LINEA A TRAPEZIO
La Seconda Guerra Mondiale aveva fermato l’Haute Couture, con la fine del conflitto fu sentita l’esigenza di recuperare il terreno perduto e da Parigi venne l’idea di una nuova linea che rompesse con le austerità imposte dal periodo bellico. Christian Dior impose un’immagine di donna raffinata e romantica, ispirata ai periodi della “grandeur” Francese, al Secondo Impero. Nella sua prima collezione puntò sulla perfezione del taglio, sul lusso e la quantità dei tessuti, sull’accurata rifinitura dei particolari e soprattutto sul rimodellamento della figura femminile. I vestiti avevano un corpino attillassimo dalla vita molto sottile, le spalle rotonde e il seno modellato; dai fianchi, importanti ed esasperati, partiva la gonna tanto ampia e ricca da sembrare la corolla di un fiore, lunga fino al polpaccio. Nasceva la linea a “corolla” che i giornalisti americani battezzarono “the New Look”. Ogni anno Monsieur Dior presentò due collezioni stagionali, che rendevano completamente superato il guardaroba femminile di qualche mese prima. Le attese del pubblico crescevano a ogni presentazione e le pagine dei giornali di moda si riempivano di articoli sulle nuove lunghezze delle sottane. Nel 1957 Dior morì improvvisamente durante una breve vacanza a Montecatini, la guida della Maison fu affidata a un allora giovanissimo Yves Saint Laurent che da tre anni ne era il più stretto collaboratore. Il pupillo seguì le direttive tracciate dal Maestro e per la prima collezione sotto la sua direzione artistica, lanciò la linea “a trapezio”: fu un enorme successo.
La linea a trapezio presentata dal giovane Saint Laurent era caratterizzata da un volume asimmetrico: un corpino attillato sul davanti, con la vita segnata e la gonna che si apriva a cupola, sul dietro il volume era ampio, partiva dalle spalle come una mantella e disegnava una precisa forma geometrica, scostandosi dal corpo e slanciando la figura. Se Christian Dior nella creazione del “New Look” aveva guardato ai romantici abiti dei dipinti dell’Ottocento francese e all’Imperatrice Eugenia, Yves Saint Laurent pescava nel repertorio più celebre dell’iconografia di matrice francese, al suo periodo più fastoso: al Settecento, alle Fêtes Galantes e all’abito “Adrienne”, l’unico ammesso allora nei ricevimenti ufficiali.
Nato dalla rivoluzione stilistica del rococò che, durante il periodo della Reggenza, aveva liberato la moda dalle affettazioni di maestosità della corte del Re Sole, l’abito volante, robe volant, deve il suo nome a una commedia di Terenzio, in cui la protagonista, Andria, indossava un abito di linea a campana, fissato sulle spalle che cadeva liscio, ondeggiando sul corpo, rigonfiato da una nuova struttura a cerchi, il panier. L’Adrienne si modificherà nel tempo, sagomandosi e stringendosi in vita, ma manterrà sul retro il caratteristico “mantello” a pieghe con piccolo strascico che aveva sin dalla prima versione. Il manteau tipico dell’adrienne si ritrova, in forma ridotta, anche in modelli meno impegnativi e da giorno, come nel caso della giacchetta “Pet en l’air“. Il robe a plis Watteau, com’è altresì chiamato dal nome del pittore che l’ha rappresentato nei suoi dipinti, era considerata una veste mantello (robe manteau) perché si presentava come la combinazione di due tipologie di abito: il davanti aderente in vita, scollato e abbottonato, il dietro ampio e intero, che ricadeva dalle spalle in una serie di pieghe fisse. Le gonne degli abiti erano ampie facendo tornare di moda i sostegni: da prima la criade, una sottogonna rigida e poi i panier, intelaiature a cerchi concentrici di ampiezza crescente attaccati direttamente al corsetto, in vimini o osso di balena, legati tra loro da nastri verticali. L’ampiezza del panier variò secondo l’epoca e della circostanza: più contenuti per il giorno, mentre i grand panier da sera potevano invece raggiungere anche i 5-6 metri di ampiezza; per facilitare il passaggio attraverso le porte, il volume si esasperò ai fianchi mantenendosi schiacciato sul davanti e sul dietro.