IN CLAUSTRALIS

Posted on Marzo 25, 2015

Il Monastero di San Gregorio Armeno fu fondato nel 706 dalle Monache dell’ordine di San Basilio, fuggite dalla natia Costantinopoli a seguito della persecuzione iconoclasta ed è intitolato al Santo armeno di cui recarono le reliquie. All’inizio era piuttosto una cittadella fortificata, dove le religiose avevano la loro abitazione autonoma, stretta intorno alla Chiesa primigenia dove si adorava l’effige della Madre di Dio, copia ridotta di quella che è nella Cattedrale di Santa Sophia in Costantinopoli. Le monache fuggitive erano ricche, di possibilità economiche e di reliquie, e il monastero da loro fondato attrarrà nei secoli le giovani rampolle delle nobili famiglie Napoletane, recluse per vocazione ma più spesso obbligate al velo per motivi dinastici; esservi ammesse era un privilegio e spesso portarono ricche doti accrescendo la ricchezza e la potenza del Monastero. Le novizie vi entravano a volte bambine recando con loro i giochi e i passatempi della loro età, ancora conservati in una straordinaria raccolta di ricordi d’ogni epoca.  Le Nobili Suore e più di tutte la Badessa continuarono la loro vita agiata, servite da novizie e converse più modeste, tra lusso, cibi prelibati e spesso incontri licenziosi. Sarà il Concilio di Trento a imporre un giro di vite e le più austere regole della clausura. Alcune abbandoneranno e le fila delle monache saranno accresciute con l’annessione di monache provenienti da altri monasteri soppressi: le aristocratiche suore di San Gregorio pretenderanno un alto prezzo in reliquie dalle più umili consorelle, aumentando, di fatto, la ricchezza del monastero che è, tuttora, il più grande, ricco quanto celato reliquiario della Cristianità. La magnificenza del luogo si coglie già nelle poche parti accessibili.

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La badessa Lucrezia Caracciolo, secondo il diktat tridentino rifonda letteralmente il luogo sacro: un alto muro blinda la clausura e solo due ruote poste ai lati del portone permetteranno il contatto con l’esterno, è costruito un meraviglioso chiostro, con ampie balconate in pietra ornate dagli stemmi delle famiglie le cui figlie qui ebbero ricovero, aperto sul lato del mare così da permettere la vista sul Vesuvio e sul Golfo, il chiostro è arricchito da un giardino pensile sullo stile degli Harem orientali con una grande fontana ornamentale alimentata da un ingegnoso sistema idraulico, e sorge una nuova chiesa. Stavolta la Chiesa affaccia sulla strada, permettendo così la partecipazione della popolazione alle funzioni, cui le monache assistono celate alla vista dietro meravigliose ed elaborate gelosie ornate d’oro. In Chiesa tutto rifulge d’oro, ogni spazio è riccamente decorato, marmi, dipinti e straordinari intagli dorati avvolgono il visitatore in un’estatica visione di opulenza e rapimento. Il soffitto a cassettoni, probabilmente il più bello degli oltre quaranta presenti a Napoli, è arricchito da dipinti di scuola fiamminga e simbologie arcane. Le sale  interne del Monastero sono affrescate dai più grandi artisti dell’epoca con scene di vita quotidiana, dagli illusori balconi dipinti si affacciano cani e gatti così come su altre pareti si aprono  scorci e paesaggi a rammentare alle recluse le bellezze della vita esterna. Il punto più alto di tale  opulenza è l’appartamento della Badessa: vero e  proprio trionfo d’arte rococò.

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